🚴♂️ Coast 2 Coast Italia in Mtb : parte 5
Racconto di un viaggio in Bikepacking da Ancona a Orbetello attraverso Marche, Umbria, Lazio e Toscana
Se non vedi nessuno strano intorno a te, vuol dire che lo strano sei tu.
Ciao! Questa è la quinta parte del mio coast to coast in mtb.
Se ti sei perso le altre, le trovi tutte qui: Coast to Coast Ancona - Orbetello .
Todi è grigia questa mattina, lo vedo dalla minuscola finestra del bagno.
A tenermi compagnia durante la colazione solamente il rumore del vento che fischia nel sottotetto.
Impermeabilizzo le borse come meglio riesco, lascio a portata di mano l’antipioggia e scendo in strada.
Nemmeno il tempo di fare tre metri in direzione del bar e la prima bomba d’acqua della giornata esplode sopra alla mia testa.
Le poche persone presenti cercano riparo sotto ai portici del Palazzo del Popolo, mentre l’acqua in pochi secondi di pioggia allaga tutta la Piazza.
Aspetto qualche istante, poi decido di partire verso Orvieto: la pioggia è incessante, fredda, a tratti dolorosa, specialmente in discesa.
Lo storico pavé di Todi, da bagnato, è talmente scivoloso da farmi rischiare almeno cinque cadute prima di imboccare la statale.
Oggi nessun sentiero e nessuna deviazione: devo arrivare il prima possibile.
Nei pressi di Pontecuti costeggio per la prima volta il Tevere, lo terrò alla mia destra per quasi tutto il tragitto di oggi percorrendo la sua valle fin dopo il lago di Corbara.
La strada, complice il nubifragio, è deserta: le poche macchine in circolazione procedono lente e alcuni automobilisti preferiscono sostare a bordo strada in attesa che il temporale si calmi.
Il tetro panorama del lago di Corbara viene presto sostituito da uno ancora più desolato: l’autostrada del Sole.
La statale la fiancheggia per diversi chilometri e possiede tutte le caratteristiche tipiche di una periferia abbandonata al suo destino: case cantoniere in rovina, immondizia lungo i lati della strada, vecchi piazzali non ancora asfaltati e strade realizzate per agevolare la manutenzione delle costruzioni autostradali.
Un luogo consumato dall’industrializzazione, divorato dal cemento armato, un male necessario per sviluppare l’economia del posto agevolando il turismo delle città d’arte limitrofe come Orvieto.
Un pallido sole sta lentamente uscendo quando inizio la salita verso il centro di Orvieto, l’afa è insopportabile e non so se sono bagnato di sudore o dalla pioggia presa fino a poco fa.
Nonostante tutto, ben presto le nuvole hanno nuovamente la meglio scagliando al suolo la seconda parte di acquazzone, proprio quando arrivo davanti al Duomo.
I turisti più equipaggiati indossano i loro poncho colorati, mentre chi è senza trova riparo sotto a qualsiasi cosa somigliante ad un tetto.
Sono l’unico sotto l’acqua, sono ormai abituato e non soffro nemmeno più il freddo.
I bambini mi indicano, alcuni scattano una rapida fotografia, fino a quando entro in un bar ordinando l’immancabile birretta di fine tappa allo stupito barista.
Chiedendo indicazioni su un posto dove passare la notte faccio conoscenza con Rita, una ragazza calabrese trasferitasi qui da poco più di sei mesi che mi consiglia una locanda a 25€/notte poco distante.
Ci scambiamo i rispettivi numeri di telefono accordandoci per un eventuale aperitivo serale e vado alla ricerca della camera.
Il meteo per domani non promette nulla di buono, pioggia tutto il giorno con un buon 90% di probabilità.
Di pedalare ancora in queste condizioni non ne ho la minima voglia, decido quindi di prenotare la camera anche per l’indomani: un giorno di stop, anche se forzato, si rivelerà un toccasana per la tendinite.
Entrato in camera scopro con amarezza che la borsa posteriore non ha retto a tutta l’acqua di stamattina, nonostante l’impermeabilizzazione.
Tolte un paio di mutande, il costume e l’unico maglione, tutto il resto è fradicio.
Cospargo quindi la camera di vestiti, utilizzando i cassetti a mo’ di stendibiancheria.
Rita mi aspetta per l’aperitivo davanti alla Torre del “Moro”, una torre con il primo orologio meccanico installato in Europa, realizzato con il compito di scandire gli orari degli operai che lavoravano alla costruzione della cattedrale.
Nonostante si sia trasferita da poco conosce Orvieto a menadito, passeggiamo nelle strette vie del centro storico fino a fermarci in un bar fuori dalle classiche rotte turistiche.
Parliamo del più e del meno mentre un duo acustico crea un sottofondo musicale. Incuriosita, le racconto del mio modo di viaggiare, tanto normale per me quanto strano e avvincente per chi non è abituato a questo tipo di avventure. Dopo un paio di Spritz siamo costretti a salutarci, lei ha degli impegni e io devo trovare un posto dove poter mangiare.
Termino la serata mangiando un risotto liofilizzato e tre uova sul terrazzino della camera, guardando l’ennesimo temporale della giornata.
Turista per caso
Apro gli occhi alle nove e trenta, guardo in direzione della finestra e fisso le goccioline di pioggia scivolare sul vetro.
Altro giorno, stesso posto, stesso meteo.
Rassegnato, faccio colazione e indosso l’unica T-shirt portata dietro, ancora umida dall’acqua presa ieri.
Il bar per poter prendere un caffè è a pochi passi da qua, ma non avendo un ombrello apro la porta del locale bagnato fradicio.
Devo comprarmi un poncho.
Cercando riparo ai bordi del lungo corso centrale di Orvieto cammino fino al supermercato in cerca di provviste per il pranzo di oggi e per i prossimi giorni: gallette, risotti liofilizzati, uova e marmellate.
Piove troppo anche solo per pensare di visitare qualcosa, ritorno quindi in camera confidando in una schiarita pomeridiana.
Colto alla sprovvista dal meteo non ho pianificato nulla per la giornata di oggi, decido così di affidarmi a internet e clicco il primo risultato dopo aver digitato la frase “Visitare Orvieto in 3 ore”.
L’articolo parla del Duomo, del Pozzo di San Patrizio, di Orvieto sotterranea e altre varie attrazioni, troppe per poterle visitare tutte.
Faccio quindi a modo mio, già provato in numerose occasioni passate: chiedo alle persone del luogo cosa visitare.
Scopro così che la pioggia ha reso inagibile l’ingresso al Pozzo di San Patrizio e alle grotte, il Duomo è chiuso e gli altri luoghi sono all’aperto e - novità - piove.
Non demordo: indosso il mio poncho appena acquistato e mi incammino per la città senza una meta precisa.
Il rumore delle scarpe da MTB sul pavé annuncia il mio arrivo a metri di distanza, rimbombando tra le strette vie, fino a quando arrivo davanti all’ingresso della torre del Moro, decidendo di salire.
Duecentocinquanta scalini in legno dopo, riesco a osservare Orvieto dall’alto.
Il cielo grigio si confonde con i tetti delle case e rende il panorama decisamente diverso dalle cartoline in vendita all’ingresso. Una sigaretta, un paio di foto, due chiacchiere con un signore e scendo.
Prossima tappa: la caserma Piave.
Qualsiasi turista con un po’ di buonsenso alla caserma Piave ci posteggerebbe solamente la propria auto, visto che da quando è in disuso il comune ha pensato di ricavarci un maxi-parcheggio in quello che una volta era il piazzale, ma dal momento che di turismo proprio non ci capisco nulla, decido di andare a visitare la struttura.
L’umidità crea una nuvola all’ingresso della caserma, a stento riesco ad intravedere il suo nome scritto in rosso sulla sommità dell’arco di ingresso.
Gli abitanti del posto lo chiamano “casermone” e, in effetti, lo è veramente; sono sicuro che la decisione della sua chiusura non sia stata presa bene dai numerosi negozi, ristoranti e strutture ricettive che compongono l’80% delle attività presenti nella Orvieto storica.
Passato questo trip mentale, vinto dalla pioggia che nel frattempo inizia ad avere la meglio sul mio poncho pagato 3 Euro, non mi resta che cercare qualcuno con cui chiacchierare seduto in un tavolino di un bar.
Sorseggiando il mio Spritz interrompo la conversazione di una coppia seduta di fianco: stanno parlando di scarpe da bici ed è come se mi avessero servito l’assist perfetto: “Parlate di SPD?”. E via, nuove persone da conoscere.
Rientro in camera verso le 22 dopo una cena allo stesso locale in compagnia dei miei nuovi amici appena conosciuti, domani il meteo migliorerà e io voglio pedalare.
I vestiti sparsi per la camera nel frattempo si sono asciugati, la tendinite è svanita, io sono carico e domani mi attenderanno 60 km fino a Sorano, l’inizio del formidabile triangolo Etrusco.
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